Archivi tag: Esperienza

Ci vorrebbe il mare

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Ci vorrebbe il mare per non ascoltare
tutte le immagini che spostano la polvere
che stava sotto il tappeto.
Ci vorrebbe il mare per riuscire a sentire
quanto male fa.

Ci vorrebbe il mare.
E ci vorrebbe il sostare, accanto
a scambiarsi l’idea che va bene così,
con i difetti, i limiti e tutto il resto.
Che non è come siamo a fare la differenza,
è come facciamo essere
chi ci sta accanto. Chi ci scegliamo
accanto.

Ci vorrebbe ancora quella riva, e quel guardare lontano,
a ricordare che il verbo essere funziona
solo al plurale. E che siamo responsabili della felicità
dell’altro.

Per dieci minuti

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Semplicemente, tra tutti quei benedetti-maledetti fenomeni che bucano la cortina dell’indifferenza generale e la forzano fino a schiuderla nell’immaginario collettivo, capita che qualcuno ci passi sopra la testa, ci strisci sotto i piedi.
E che non ci raggiunga. Perché stavamo pensando ad altro, perché stavamo bevendo un caffè, perché eravamo nel posto giusto al momento sbagliato, nel posto sbagliato al momento giusto.
Capita.
“Non hai ancora letto il mio ultimo libro?” mi ha chiesto il grande Alberto Arbasino quando ho avuto l’occasione di conoscerlo personalmente. “Beata te!” ha sospirato.

Perché in effetti, il meglio della vita sta in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano.

Tratto da Per dieci minuti, di Chiara Gamberale

Narrazione

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L’uomo, se mi consentite di suggerire una definizione, è l’animale che racconta la storia. Ovunque vada, vuole lasciare dietro di sé non una caotica scia, non uno spazio vuoto, ma le rassicuranti boe e pietre miliari della storia. Fin quando c’è storia tutto va bene. Anche nei suoi ultimi attimi, a quanto si dice, nella frazione di secondo della fatale caduta, o quando sta per annegare, l’uomo vede passare rapidamente davanti a sé la storia di tutta la sua vita.
 
Graham Swift, Il paese dell’acqua

E dev’esserci acqua che piove per questo fiume che porta al mare

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C’è una riva per ogni mare, un mare per ogni riva.
C’è una luce per ogni ombra che ti segue istintiva.
C’è una strada che non conosci,
un temporale che non aspettavi:
per ogni dubbio c’è una porta chiusa, per ogni porta le sue chiavi.
C’è un desiderio per ogni stella,
ma alla tua stella non puoi chieder perché.

Lo specchio ti riflette, Nomadi.

Nuvola temporale

Titolo: Sulla strada, Francesco De Gregori.

Will Hunting

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Tratto da Will Hunting, genio ribelle.

Che non capisci realmente niente di come gira la vita finché non la trovi in mezzo alle parole. Di altri, con la musica, le immagini e tutto il resto. Ci trovi pezzi di te, della tua storia. Dai un nome e il mondo si rimette in ordine. Solo per un attimo. Ma é un attimo di infinito e ti va bene così. Che a capirci tutto poi resta solo la noia e la presunzione di saper raccontare qualcosa. A qualcuno.

Pensieri di carta

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La voce si blocca tutta in fondo alla gola. All’inizio dei polmoni. Se respiri è perché grazie al cielo hai un corpo, non di certo perché te lo sei ricordato.

  • Diventare grande
  • Laurearsi
  • Lavorare
  • Amarsi
  • Costruire

Come le racconti tutte queste cose, messe insieme?
Non le racconti.
Inchiodano. E amen.

La notte di Santa Lucia

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Preparavi le tazzine con un goccio di caffè, il cucchiaio sporco. Il bicchiere vuoto.
Suonavi il campanello, curavi il nascondiglio dei giochi.
Me ne andavo a letto immaginandoti seduta al tavolo della cucina, la stufa accesa, a chiacchierare con lei. Tendevo l’orecchio, per riuscire a sentire se era arrivata, stando però ben nascosta nel piumone.

Secondo me, in un qualche modo, c’hai parlato per davvero con lei, passandole in piedi quelle notti, sveglia e allerta.
Era il tuo compleanno questa notte, [..]

Ricominciare

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Li hanno fatti a tempo determinato i momenti.
Appiccicandoci sempre un dopo, però.
Secondi, minuti e ore. Eterno ritorno di giorni e notti che si alternano.
Il lunedì mattina, il primo del mese, il primo dell’anno. Ogni anno. Mai gli stessi.

Sembriamo fatti apposta per poter ricominciare.
Creare,
andando a capo.

Calzini nell’armadio

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-Puliti?
-Puliti dentro vuol dire non aver fatto niente di cui doversi vergognare. E fin qui non c’è niente di complicato.
-No.
-Il complicato arriva quando uno si accorge che ha un desiderio di cui si vergogna: ha una voglia pazzesca di qualcosa che non si può fare, o è orrendo, o fa del male a qualcuno. okay?
-Okay.
-E allora si chiede: devo starlo a sentire questo desiderio o devo togliermelo dalla testa?
-Già.
-Già. Uno ci pensa e alla fine decide. Per cento volte se lo toglie dalla testa, poi arriva il giorno che se lo tiene e decide di farla quella cosa di cui ha tanta voglia: e la fa: ed eccola lì la schifezza.
-Però non dovrebbe farla, vero, la schifezza?
-No. Ma sta attento: dato che noi non siamo calzini ma persone, non siamo qui con il fine principale di essere puliti. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di star dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. solo questo è importante.
-Ma quante volte lo si può fare?
-Non troppe, se si vuole riuscire a dormire ogni tanto.
-Dieci?
-Magari un po’ meno. Se sono vere schifezze un po’ meno.
-Cinque?
-Diciamo due…poi se ne scappa qualcun’altra…
-Due?
-Due.

Tratto da Castelli di rabbia, Alessandro Baricco

Nè di Eva nè di Adamo

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Lo spazio ci libera da tutto. Non c’è tormento che resista all’espansione di sé nell’universo. Il mondo sarebbe così grande per niente? La lingua dice una cosa giusta: darsela a gambe vuol dire salvarsi. Se stai morendo, scappa. Se stai soffrendo, datti una mossa. Non esiste altra legge che il movimento.

Tratto da Né di Eva né di Adamo, di Amélie Nothomb.

Oggi indosso la giacca dell’anno scorso

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Siamo
esperti
traslocatori.
Passiamo le giornate a mettere
in ordine
pezzi di noi negli altri:
li riponiamo lì, con estrema cura ed efficacia,
con incondizionata fatica.
Senza nemmeno accorgercene.

Poi, una mattina, succede
che ci svegliamo e non ci troviamo.
Nemmeno a cacciarsi due dita
nel cuore per vomitare:
non c’è verso di
riconoscersi,
da quella mattina.

Vecchie stazioni inchiodate alla campagna

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È facile per una bicicletta incuriosire la gente, basta scivolare di sera con qualcuno in sella su strade che non portano in nessun posto. La guardano tutti, quella bici, chiedendosi dov’è che andrà a finire tutta sola. Magari vuole andarsi a buttare sotto il treno, Si certo, guarda che la gente mica le fa questa cose, Beh, cos’altro c’è in fondo a questa strada, se non il treno?

Io volevo solo andarlo a vedere questo treno. Cioè in realtà erano le rotaie che volevo vedere. Salirci in groppa e osservare dove andavano a perdersi.
Ti sembra sempre di vederci un inizio là in fondo.

L’università e i pantaloni della tuta blu

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Luce del mattino, stanchezza della notte. La colazione gironzola per lo stomaco e le porte della carrozza del treno dondolano al passaggio di studenti e zaini in spalla.
Mai capito perché, coi lavoratori, quelle porte si aprono in un altro modo. Bah.
Fatto sta che stamattina c’è un tizio, padre di famiglia – abita da Castelleone in poi perché parla di un paese che non conosco, ha un bimbo e ne aspetta un’altra. No, forse è l’amico che aspetta, questo invece la bimba ce l’ha già. Ok, non è importante. E’ che ce l’hanno raccontata tutta, la loro storia. Io non lo so come faccia la gente, si dice due episodi, così, per far passare il viaggio. Due chiacchere banali, tra pendolari, alle otto di mattina: figli, mogli, casa… e intanto ti raccontato tutta la loro storia. Tutta. Io non lo so come facciano – e uno studente, che a un certo punto passa, assonnato alla ricerca di un posto. Il tizio lo guarda, tutto: dall’alto al basso, da destra a sinistra. E dice questa cosa qua: “Io non so. Ai mie tempi mica si andava coi pantaloni della tuta in università”.

Mi ci è voluto tempo per capirla, quella frase. Ma alla fine c’ho trovato dentro un’alta critica sociologica.
“Ai suoi tempi” l’università era una cosa seria e importante, mica ci potevi andare con i pantaloni della tuta. Oggi noi c’andiamo con la tuta, le ciabatte e le magliette dei concerti.
Ma mica lo sappiamo quanto siamo fortunati.

Tac.

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– Voi credete che io sia pazzo?
– No.
Bartleboom le ha raccontato tutta la storia. Le lettere, la scatola di mogano, la donna che aspetta. Tutto.
– Non l’avevo mai raccontata a nessuno.
Silenzio. Sera. Ann Deverià. I capelli sciolti. Una lunga camicia da notte bianca fino ai piedi. La sua stanza. La luce che oscilla sulle pareti.
– Perché a me Bartleboom?
Si tortura l’orlo della giacca, il professore. Non è facile.
Niente facile.
– Perché ho bisogno che voi mi aiutate.
– Io?
– Voi?
Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti a crederci, non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta. Si è anche felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai. Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico, tac, senza nessuna ragione, si rompe d’improvviso e tu rimani lì, senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l’hai più addosso, ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell’altro sei tu. Tac. Alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora. Basta quello.
– Madame Deverià… io come farò a riconoscerla, quella donna, la mia, quando la incontrerò?
Anche solo una domanda elementare che affiora dalle tane sotterranee in cui la si era sepolta. Basta quello.
– Come farò a riconoscerla, quando la incontrerò?
Già.
– Ma in tutti questi anni non ve lo siete mai domandato?

[Alessandro Baricco, Oceano mare]

Accordi scordati

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Metropolitana delle dieci.
Si infila la realtà armonica di accordi stonati, senza pagare il biglietto,
che tanto glielo paghi tu.
Sete di aria e di vuoto, di silenzio e spazio: lui sale puzzolente e tremante, con un violino scocciato tra le mani nere. Aspetta
che le porte si chiudano e tutti si siedano. Come fosse dietro le quinte
apre il sipario trasparente, si inchina, avanza. Tra un buongiorno e un sorriso.
“Non voglio disturbare, spero di allietarvi.”
Dice, una timida voce che sembra nascondersi tra i vestiti, dal pubblico maleducato che nemmeno l’ascolta. Nemmeno la guarda quella voce.
Inclina la testa, si scusa: mai visto un’artista disturbare, io.

[..]

Un “Grazie” gli declina la testa, lascia cadere le braccia, sorride.
Prende il cappello. Nessuno lo guarda.

Se ne va.

Stella cometa

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Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così… Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo… salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti male. È lì che salta tutto, non c’è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non te lo puoi nemmeno immaginare.

Alessandro Baricco, Oceanomare

I

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22 settembre 2011


Chiamiamola anche viaggio questa GMG, perché come tutti i viaggi ha avuto anche un ritorno.
E tornare dalla GMG è stata la cosa più facile.
Perché la GMG è prendere uno zaino vuoto ma della nostra misura, è partire con le botte e le ferite del momento, i sorrisi e le parole del giorno prima.
La GMG è andare a ricaricarsi di stupore, di voglia di vivere, di incanto, di forza e di fiducia. Quella fiducia che ti cresce dentro solo dopo aver incontrato la certezza e la testimonianza di gente come te.
Madrid è stato anche questo: non accorgersi di raccogliere pezzi di vita per strada e metterseli addosso, usarli per scuotere via la polvere, per coprire le toppe e le scottature. E quando te ne accorgi, del caleidoscopio di emozioni che ti si stanno cucendo intorno, c’è solo una cosa che hai voglia di fare: tornare a casa.
Per raccontare chi hai incontrato, per abbracciare chi ti è mancato, per metterti in azione, per buttarti verso il nuovo anno scolastico, per realizzare quel progetto che ti faceva così paura, per attuare nuove abitudini, per far diventare nuove persone parte della tua quotidianità.
Ti accende lo stomaco di entusiasmo quella voglia di usare tutto quello che da questa GMG hai ricevuto.
Mi piace quando Cremonini canta che i ricordi li puoi tenere in testa, o nascondere in un portafogli.
Ma c’è chi se li dimentica nei sogni.
E poi, continua il suo cammino.