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Al lupo, al lupo!

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La nonna c’aveva tutte queste storie chiuse nelle borse degli occhi.
Tu facevi un qualsiasi dispetto, un gioco, sbagliavi una parola, non so.
Lei ti coglieva, si avvicinava, e ti raccontava una storia.
A bassa voce. Piano. E poi,
se ne andava. Ti lasciava lì col tuo pensiero a mezz’aria, col senso di colpa e la netta sensazione di essere nel mentre di un errore, di una cosa sbagliata:
“e se succede anche a me?”.
Allora la smettevi, di fare qualsiasi dispetto, gioco o parola tu stessi facendo.
E la nonna si allontanava, piano.

Un pastorello conduceva ogni giorno le sue pecorelle a pascolare.
Si annoiava molto e così decise di fare uno scherzo a tutta la gente del villaggio.
– Aiuto.. al lupo al lupo. Cominciò allora agridare con quanto fiato aveva in gola
Tutti i contadini accorsero armati di forconi e randelli, ma quando arrivarono nel grande prato non videro neanche l’ombra del lupo. Il pastorello rideva a crepapelle:
– Era solo uno scherzo e voi ci siete cascati!
Qualche giorno dopo ripeté lo stesso e i contadini allarmati giunsero di corsa la prato.
Presto si accorsero che il pastorello si era giocato un’altra volta di loro.
Un giorno arrivò d’improvviso un intero branco di lupi; il pastorello cominciò a gridare disperatamente:
– Al lupo, al lupo!
Ma i contadini, credendo a un altro scherzo, non si mossero più. Indisturbati, i lupi, fecero strage di pecore e agnelli.

[Esopo, Lo scherzo del pastore]

D

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22 settembre 2011

Là faceva caldo. Quasi non si respirava. Giramenti di testa, pressione che scende, acqua da raccogliere imbucandosi sotto i lavandini, fili d’erba secca che ti si attaccano alla pelle.
Una piccolissima zona d’ombra, e un’aranciata rubata al tempo. Ghiacciata.
Nel pomeriggio a Quatro Vientos, il viento non s’è sentito. Eppure le emozioni più forti si sono tutte radicate lì.  Perché chiunque vi racconterà come è andata questa GMG, vedrete che si soffermerà principalmente nei dettagli di questa precisa giornata.
In un vecchio libro, una volta, avevo letto che i dettagli sono cruciali per far funzionare una storia. E allora raccontiamoli, questi dettagli.
Un dettaglio è l’acqua, che non c’era mai se non nei tubi rotti sotto i lavandini. Un dettaglio sono i cappelli azzurri degli italiani, che calzavano a pennello tutte le teste e i pensieri del mondo intero. Dettagli sono le bellissime borse col cibo. E non ditemi che non erano bellissime. Dettaglio rinfrescante sono i bomberos e la loro favolosa grandezza nel divertirsi mentre ci bagnavano. Un altro dettaglio sono le firme sulla bandiera che ora è appesa in camera. Un dettaglio è scappare dalle paure e chiudersi sotto un tendone, trovarsi nel bel mezzo di un’adorazione, confessarsi e pregare. Dettaglio è incontrarLo. Nei visi degli altri, nelle parole che finiscono con la s, parlando cinque lingue diverse contemporaneamente, compresa la lingua dei segni, nel coraggio di buttarsi, nel resistere al caldo, nell’ombra improvvisa, nelle canzoni sputate fuori dalle casse, nelle parole del Papa, nel forte vento che alla fine è arrivato: nella pioggia, nei tuoni, nei teli blu, negli amici, nello stringersi, nel sorridere alla beffa, nel ridere a crepapelle quando la tempesta si zittisce e ti ritrovi bagnata fradicia e infreddolita dalla testa ai piedi. Ma da lì non te ne vuoi andare.
Dettaglio è quel Papa che torna sul tappeto bianco e ci ringrazia e ci si fa vicino.
Ci ha abbracciati tutti, e questo è uno dei dettagli migliori.
Ma il più bello, il più infinito dei dettaglio è stato quel silenzio. Non c’era fine a quel silenzio durato un istante e durato un’eternità. È stato di una meravigliosa profondità e nessuno ci avrebbe mai creduto che due milioni e mezzo di persone, ciascuna persona presente lì in quel momento si sarebbe fermata per guardarsi dentro, per guardarLo e per guardarsi intorno.
Per poi, a un certo punto, accorgersi che quell’istante era finito.
Ed è lì che abbiamo trovato quel linguaggio universale capace di parlare a tutti.
Quel linguaggio che si chiama Amore e passa tra le voci del cuore.
E sapete perché l’abbiamo trovato?
Esattamente perché l’istante a un certo punto è finito. Provate a pensarci, se non fosse finito, quell’istante…

A

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22 settembre 2011

 Uno parte per la GMG per mille motivi diversi. Per seguire (o inseguire) gli amici, perché ci va quello lì (esattamente quello lì), perché devo trascinare per forza quegli sfiz del mio paese che non hanno ancora capito che si perdono una cosa eccezionale; per accompagnare il mio gruppo, perché mi tocca, per cercare, per trovare, perché è il viaggio cool di quest’anno, perché la GMG è la GMG, perché non me ne voglio perdere una, perché così vedo Madrid, perché è emozione pura, perché solo l’idea mette adrenalina in circolo, … e perché bo, non lo so.
Perché si, c’è anche chi non lo sa perché ci va. Ve lo giuro. E ci va comunque.
Con la testa vuota e lo zaino pieno. E lo sapete come tornano questi?
Tornano che non sanno più dove mettere i sorrisi, i sogni, le idee, le facce, i discorsi.
C’hanno le vesciche ai piedi questi, e almeno una bandiera di un’altra nazione e quattro braccialetti nuovi legati ai polsi. Sono tutti quelli con tutte le firme sulla maglietta, quelli che una volta a casa hanno un surplus di amici nuovi in facebook o sul cellulare, o su un pezzo di carta stropicciata. Sono quelli che non si sono fermati un attimo, questi: non si sono mai tirati indietro, nemmeno sotto il caldo di Quatro Vientos, nemmeno se la Chiesa aveva solo un ventilatore, nemmeno con un mezzo tramezzino di pane stantito e salame piccante color sangue in mano.
Se la sono ingoiata tutta questa GMG, questi. Tutta.
Che io non lo so come funziona, ma tra i mille perché che ciascuno di noi aveva dentro, tra i mille perché che ci hanno spinti a prendere un aereo e atterrare a Madrid, ce n’era uno in particolare.
Che si chiama Gesù.
E ce l’avevamo tutti questo perché, in fondo alle tasche. In fondo al cuore.
Che sia Lui ad averci trascinato fin là? ….

M

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22 settembre 2011

È alla fine di una giornata faticosa che puoi permetterti di scrivere una testimonianza.
Non credo ci siano grandi motivazioni a riguardo, è solo che sentire sulla faccia quella sensazione di soddisfazione e spensieratezza che solo una giornata stancante e ricca e inzuppata di emozioni e con un caldo assurdo e fuori stagione, con così tanti sorrisi e sensazioni di vuoto nello stomaco, la schiena che ti chiede gentilmente di sederti, lo zaino pesante sulle spalle, le magliette puzzolenti che nemmeno senti presa come sei a osservare il mondo… ecco. Se ti senti una cosa del genere pasticciata in faccia è più facile tornare indietro di qualche settimana…

Capriole

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Ce la faranno i nostri eroi a farla franca o sarà Franca a farsi i nostri eroi?

Diario di I media. Frase scarabocchiata con una biro colorata. Rosa. Una volta profumava. Credo.
In I media i primi giorni di scuola erano dedicati allo scambio dei diari: tu scrivi qualcosa sul mio, io scrivo qualcosa sul tuo. Frase fatte, che sembrano stupende perchè un bambino di prima media dove vuoi che le abbia già sentite? Barzellette, firme, saluti, sigle, tvb, tv1kdb. Ecc ecc ecc. Perchè? Perchè lasciare bianche le pagine di giorni in cui la scuola non c’era, non ci piaceva proprio. Non si lasciano vuoti i giorni di vacanza. Sei fuori?

Francy, una mattina, prende il mio diario e sul 5 settembre scrive: ce la faranno i nostri eroi a farla franca o sarà Franca a farsi i nostri eroi?
Meraviglia. Pura, purissima meraviglia. Esaltazione totale. Cioè, l’hai vista? L’hai notata? Era una frase con sogg+verbo+compl e si è girata, cavolo! Hai visto come si è girata?
Il compl è diventato sogg, il verbo è rimasto tale e il sogg è il compl adesso.
Cioè.
Stupenda.
Sono meravigliata.
Meravigliata.
E ripetitiva perchè non trovo un aggettivo migliore di meravigliata.
Passa la mattina, il pullmino, il pranzo. I cartoni e il divano. Sono a casa, il grande tavolo da cucina e la mamma che chiede: “cosa hai da fare per domani?”. Tiro fuori il diario, mi ricordo della frase, sfoglio le pagine ed esclamo “guarda guarda!! Leggi questa frase! Leggila! Questa!”.
Ero orgogliosa, ecco. Volevo che leggesse quella frase meravigliosa e dicesse “uahoh” perchè io l’avevo vista fare la capriola, e girarsi al contrario, e anche lei poteva vedere la capriola. Si si, l’avrebbe vista e mi avrebbe detto “uahoh”.
“Mmm… non mi piace molto questa frase, Paola” e ci picchietta sopra l’indice. “Anzi, non mi piace proprio.”

Va detto che avevo 11 anni, e di doppi sensi non ero particolarmente esperta. Non che adesso sia cambiata la faccenda.
Ad ogni modo io mica mi ero accorta del senso della frase. Cioè, io l’avevo vista capovolgersi, ma mica avevo fatto a caso a cosa stesse dicendo.
“Non mi piace..”
“Come non ti piace?” Come piffero fa a non piacerti? Spiegamelo!



Oh.
Delusione.
Il significato. Sconcio. Oh.. eh, in effetti non è mica tanto bella come frase. Per una di 11 anni non è esattamente la perla del giorno da ripetere a chiunque incontri.
E la capriola? Cosa ce ne facciamo della capriola?

Avevo 11 anni. E già le parole mi conquistavano.