Archivi categoria: Biblioteca

Pezzi di libri letti, sfogliati, non finiti.

Avrò cura di te

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Finalmente l’ho detto. Anzi no, l’hai detto tu. Ho navicelle spaziali pazze e giostre anarchiche, dentro. Ecco perché cerco fuori. Che cosa, non ha mai avuto troppa importanza. L’importante è fuggire. E allora come si fa a trasformare in una strada la confusione spaventata delle nostre orme? Come si fa a trasformare quel fuggire in un andare?

[…]
Ma io ti terrò sempre una mano sul cuore, affinché la paura non ti paralizzi, e una sulla testa, affinché la disperazione non ti abbatta.

Tratto da Avrò cura di te, di Massimo Gramellini e Chiara Gamberale

Libri che leggono pezzi di vita. Risposte da tenersi in tasca per domande disordinate da lasciare un attimo a germogliare.

L’amore prima di noi

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I miti sono storie che tutti conosciamo, o che ci pare di conoscere, da sempre. Anche se li dimentichiamo, essi restano in noi dimenticati, e basta un nulla a riportarli in superficie.
Sono nell’aria, aleggiano, abitano il mondo. E abitano anche al fondo di noi. È come se qualcuno in un tempo remoto li avesse affondati negli abissi e assicurati a qualche macigno. Da lí continuano a parlarci.
Lévi-Strauss ha scritto che i miti diventano pensiero nell’uomo a sua insaputa.

Tratto da L’amore prima di noi, di Paola Mastrocola

Per dieci minuti

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Semplicemente, tra tutti quei benedetti-maledetti fenomeni che bucano la cortina dell’indifferenza generale e la forzano fino a schiuderla nell’immaginario collettivo, capita che qualcuno ci passi sopra la testa, ci strisci sotto i piedi.
E che non ci raggiunga. Perché stavamo pensando ad altro, perché stavamo bevendo un caffè, perché eravamo nel posto giusto al momento sbagliato, nel posto sbagliato al momento giusto.
Capita.
“Non hai ancora letto il mio ultimo libro?” mi ha chiesto il grande Alberto Arbasino quando ho avuto l’occasione di conoscerlo personalmente. “Beata te!” ha sospirato.

Perché in effetti, il meglio della vita sta in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano.

Tratto da Per dieci minuti, di Chiara Gamberale

L’amante giapponese

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Irina Bazili iniziò a lavorare a Lark House, alla periferia di Berkeley, nel 2010, a ventitré anni compiuti e con poche illusioni, perché passava da un impiego all’altro, cambiando di continuo città, da quando ne aveva quindici.
Non poteva immaginare che in quella residenza per la terza età avrebbe trovato una nicchia perfetta e che nei tre anni successivi sarebbe tornata a essere felice come durante l’infanzia, quando ancora il destino non le si era scompigliato.

Tratto da L’amante giapponese, di Isabel Allende

Psiche

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Eros e Psiche celebrarono le nozze, e dalla loro unione nacque una figlia che chiamarono Voluptas, ciò che è come desidera il cuore: una speranza, un auspicio.
Perchè il piacere non è l’istante: è ciò che proietta in avanti il tempo, diventando desiderio.

Tratto da L’amore prima di noi, Paola Mastrocola.
Immagine: Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, dettaglio.

Disattenzione

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Disattenzione
di Wislawa Szymborska

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare
domande,
senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo
l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per
un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in
superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter
d’occhio.

Su un tavolo più giovane da una mano d’un
giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia
era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

E’ durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Braci

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Quando si accende l’amore è una pazzia temporanea. L’amore scoppia come un terremoto e in seguito si placa e quando si è placato bisogna prendere una decisione, bisogna riuscire a capire se le nostre radici sono così inestricabilmente intrecciate che è inconcepibile il solo pensiero di separarle. Perché questo è… l’amore è questo.
L’amore non è turbamento, non è eccitazione, non è il desiderio di accoppiarsi ogni istante della giornata, non è restare svegli alla notte immaginando che lui sia lì a baciare ogni parte del tuo corpo. Non arrossire, ti sto dicendo delle verità. Questo è semplicemente essere innamorati e chiunque può facilmente convincersi di esserlo.
L’amore è invece… è quello che resta nel fuoco quando l’innamoramento si è consumato. Non sembra una cosa molto eccitante, vero? Ma lo è. Tu credi di poter anche solo immaginare che arriverai a provare questo?

Tratto da Il mandolino del capitano Corelli, regia di John Madden.

Will Hunting

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Tratto da Will Hunting, genio ribelle.

Che non capisci realmente niente di come gira la vita finché non la trovi in mezzo alle parole. Di altri, con la musica, le immagini e tutto il resto. Ci trovi pezzi di te, della tua storia. Dai un nome e il mondo si rimette in ordine. Solo per un attimo. Ma é un attimo di infinito e ti va bene così. Che a capirci tutto poi resta solo la noia e la presunzione di saper raccontare qualcosa. A qualcuno.

Smith&Wesson

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SMITH: Lei mi ha detto lentamente, io sto girando lentamente.
WESSON: Ma non abbastanza.
SMITH: Allora doveva dirmi molto lentamente
WESSON: Io dovevo dirle…
SMITH: [in un crescendo] Guardi che le parole sono piccole macchine molto esatte, mi creda, se uno non le sa usare, tanto vale che non le usi, è meglio per tutti che si rassegni a restare quello che è, cioè un rozzo animale che a fatica indica col dito le cose cercando di ricordarsi qualche fonema che le significhi, ma senza lamentarsi poi se la gente lo prenderà a calci come un cane randagio, perchè è questo che si merita, se neanche sa staccare un paio di parole correttamente, tipo girare molto lentamente il cucchiaio di legno, se lo giri lei, allora, si alzi da quel lurido letto, rimetta in posizione verticale le zozze interiora che si porta dentro, e che tanto saranno irrimediabilmente compromesse dal fatto di vivere nel posto più schifosamente umido della terra, faccia questi quattro fottuti metri e si giri da solo il suo rivoltante passato di fave che solo l’odore fa vomitare, dio madonna!

Breve pausa

SMITH: [d’improvviso calmissimo] La prego di scusarmi, ho avuto un padre molto severo.
WESSON: Fantastico. non recitava, vero? Cioè non l’ha fatto per me?
SMITH: No, assolutamente. Non sopporto di essere rimproverato.
WESSON: Sorprendente.
SMITH: Col tempo ci si abitua.
WESSON: Ha smesso di girare. No! Scherzavo. Che tipo…
SMITH: La prego di scusarmi.
WESSON: Ma si figuri… Qua la mano, lei mi piace.
SMITH: Non le ho nemmeno ancora detto il mio nome. Smith.
WESSON: Piacere, Wesson. [Si stringono la mano.]

Tratto da Smith&Wesson, di Alessandro Baricco.

Tre personaggi che ti abitano in testa per due giorni. Una pagina dietro l’altra, risata dopo lacrima, dopo risata.

Venuto al mondo

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Pesci, pensai, non siamo altro che pesci.. branchie che si gonfiano e si chiudono.. poi viene un gabbiano che dall’alto ci prende e mentre ci smembra ci fa volare, forse questo è l’amore.

Tratto da Venuto al mondo, di Margaret Mazzantini.

Il corpo umano

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Dallo studio delle ossa, d’altronde, avrei imparato almeno una lezione: le fratture peggiori sono quelle che ci si procura da fermi, quando il corpo decide di andare in pezzi e lo fa, in una frazione di secondo si sbriciola in così tante schegge che dopo è impensabile ricomporlo.

Tratto da Il corpo umano, Paolo Giorndano

[Non è esattamente l’ultimo libro che ho letto da febbraio. È l’ultimo libro che ho letto per intero; gli altri se ne stanno appiccicati da parte al letto, sul divano, in fondo a una borsa. Ho cominciato a non finire i libri, a metterci più tempo. C’è meno ordine così, un pizzico di instabilità in più.
Non ho ancora ben capito se è una cosa che mi sta bene, oppure no.]

Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico

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”In effetti è proprio così. Il primo motivo della mia tristezza è che non ho un nome. Lei si chiama Mix, il giovane umano Max, ma io non ho un nome, sono solo un topo, e se dici topo ad alta voce, milioni di topi penseranno che parli con loro e non con me.
Io voglio avere un nome!”

Tratto da Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, di Luis Sepùlveda.

Tutti i figli di Dio danzano

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Yoshiya si tolse gli occhiali e li ripose nel loro contenitore.
Danzare non è male, pensò. Non è niente male. Chiuse gli occhi, e sentendo sulla pelle la luce bianca della luna, da solo, cominciò a danzare. Inspirò profondamente, e poi espirò. Poiché non gli veniva in mente una bella musica che si adattasse al suo stato d’animo, danzò in accordo col fruscio dell’erba e il fluttuare delle nuvole. A un tratto si rese conto che qualcuno lo stava guardando. Riuscì a percepire distintamente di essere nel campo visivo di qualcuno. La sua pelle, le sue ossa, lo captarono. Ma di questo non gli importava nulla. Chiunque fosse, se voleva guardare, guardasse pure. Tutti i figli di Dio danzano!
Calpestava la terra, e roteava le braccia con eleganza. Ogni movimento chiamava il successivo, e si collegava a esso in modo autonomo. Il suo corpo tracciava un diagramma dopo l’altro. E in quella danza vi erano forma, variazioni e improvvisazione. Dietro al ritmo c’era ritmo, e tra di essi vi era un altro ritmo invisibile. In alcuni momenti chiave, Yoshiya riusciva a cogliere una visione d’insieme del loro complessi intrecci. Diversi animali erano nascosti nella foresta, come un’illustrazione cifrata. Vi apparteneva anche una belva spaventosa che non aveva mai visto. A un certo punto sapeva che avrebbe dovuto attraversare quella foresta. Ma aveva paura. Cosa aveva da temere? Era la foresta che esisteva dentro di lui. E la belva quella che lui stesso portava con sé.

Tratto da Tutti i figli di Dio danzano, di Murakami Haruky.

Un autore scrive più libri. Con alcuni ti semina domande, con altri ti accartoccia risposte. Sono uno la spiegazione dell’altro.
Si intrecciano, i pensieri.

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare

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Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene che tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.

Tratto da Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, di Luis Sepùlueda.

Nessuno si salva da solo

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– Tutta la sera ho pensato quei due possono fare qualcosa per me…
– E perché ha pensato una cosa così assurda?
– Non lo so. Una sensazione, ma precisa come un’emozione profondissima…
Il vecchio cerca gli occhi di Delia.
– Lei pensa di poter pregare per me?
– Si, certo.
Ha preso una mano a entrambi, le stringe. Le scuote.
– Nessuno si salva da solo.

Li guardano allontanarsi verso una Panda parcheggiata proprio lì.. adesso il vecchio sembra davvero incerto sulle gambe. È la moglie che lo guida, chiude lo sportello al marito e poi fa il giro.

– Perché non gli hai detto che non siamo credenti?
– Non m’andava di deluderlo… uno combinato così… e poi in qualcosa credo.
Delia gli chiede in cosa crede, Gaetano guarda in terra, le mani in tasca ai jeans, boh, dice…
– Nella catena umana… se stiamo qui insieme ci sarà un senso… tu e io piuttosto che altri due…

Tratto da Nessuno si salva da solo, di Margaret Mazzantini.

[È pieno di rabbia quel libro qua. Ti inchioda al futuro con una domanda bruco, di quelle che se te le tieni in testa ti mangiano piano piano.]

Calzini nell’armadio

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-Puliti?
-Puliti dentro vuol dire non aver fatto niente di cui doversi vergognare. E fin qui non c’è niente di complicato.
-No.
-Il complicato arriva quando uno si accorge che ha un desiderio di cui si vergogna: ha una voglia pazzesca di qualcosa che non si può fare, o è orrendo, o fa del male a qualcuno. okay?
-Okay.
-E allora si chiede: devo starlo a sentire questo desiderio o devo togliermelo dalla testa?
-Già.
-Già. Uno ci pensa e alla fine decide. Per cento volte se lo toglie dalla testa, poi arriva il giorno che se lo tiene e decide di farla quella cosa di cui ha tanta voglia: e la fa: ed eccola lì la schifezza.
-Però non dovrebbe farla, vero, la schifezza?
-No. Ma sta attento: dato che noi non siamo calzini ma persone, non siamo qui con il fine principale di essere puliti. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di star dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. solo questo è importante.
-Ma quante volte lo si può fare?
-Non troppe, se si vuole riuscire a dormire ogni tanto.
-Dieci?
-Magari un po’ meno. Se sono vere schifezze un po’ meno.
-Cinque?
-Diciamo due…poi se ne scappa qualcun’altra…
-Due?
-Due.

Tratto da Castelli di rabbia, Alessandro Baricco

Dance dance dance

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Finalmente l’orologio segnò le sette, la luce del mattino filtrò dalla finestra proiettando sul pavimento un rettangolo leggermente deformato. Yumiyoshi dormiva ancora profondamente. Le spostai piano i capelli e le diedi un bacio sull’orecchio.
Prima di svegliarla, pensai tre o quattro minuti a cosa dirle. C’erano tante cose che avrei voluto comunicarle, e tanti modi di esprimerle. Ci sarei riuscito? Il mio messaggio sarebbe riuscito a far vibrare le corde giuste dell’aria e raggiungerla? Provai diverse frasi tra me e me. Poi tra quelle scelsi la più semplice.
– Yumiyoshi, – sussurrai. – È mattina.

Tratto da Dance dance dance, di Murakami Haruki.

Nè di Eva nè di Adamo

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Lo spazio ci libera da tutto. Non c’è tormento che resista all’espansione di sé nell’universo. Il mondo sarebbe così grande per niente? La lingua dice una cosa giusta: darsela a gambe vuol dire salvarsi. Se stai morendo, scappa. Se stai soffrendo, datti una mossa. Non esiste altra legge che il movimento.

Tratto da Né di Eva né di Adamo, di Amélie Nothomb.

Tac.

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– Voi credete che io sia pazzo?
– No.
Bartleboom le ha raccontato tutta la storia. Le lettere, la scatola di mogano, la donna che aspetta. Tutto.
– Non l’avevo mai raccontata a nessuno.
Silenzio. Sera. Ann Deverià. I capelli sciolti. Una lunga camicia da notte bianca fino ai piedi. La sua stanza. La luce che oscilla sulle pareti.
– Perché a me Bartleboom?
Si tortura l’orlo della giacca, il professore. Non è facile.
Niente facile.
– Perché ho bisogno che voi mi aiutate.
– Io?
– Voi?
Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti a crederci, non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta. Si è anche felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai. Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico, tac, senza nessuna ragione, si rompe d’improvviso e tu rimani lì, senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l’hai più addosso, ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell’altro sei tu. Tac. Alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora. Basta quello.
– Madame Deverià… io come farò a riconoscerla, quella donna, la mia, quando la incontrerò?
Anche solo una domanda elementare che affiora dalle tane sotterranee in cui la si era sepolta. Basta quello.
– Come farò a riconoscerla, quando la incontrerò?
Già.
– Ma in tutti questi anni non ve lo siete mai domandato?

[Alessandro Baricco, Oceano mare]