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L’amore prima di noi

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I miti sono storie che tutti conosciamo, o che ci pare di conoscere, da sempre. Anche se li dimentichiamo, essi restano in noi dimenticati, e basta un nulla a riportarli in superficie.
Sono nell’aria, aleggiano, abitano il mondo. E abitano anche al fondo di noi. È come se qualcuno in un tempo remoto li avesse affondati negli abissi e assicurati a qualche macigno. Da lí continuano a parlarci.
Lévi-Strauss ha scritto che i miti diventano pensiero nell’uomo a sua insaputa.

Tratto da L’amore prima di noi, di Paola Mastrocola

L’amante giapponese

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Irina Bazili iniziò a lavorare a Lark House, alla periferia di Berkeley, nel 2010, a ventitré anni compiuti e con poche illusioni, perché passava da un impiego all’altro, cambiando di continuo città, da quando ne aveva quindici.
Non poteva immaginare che in quella residenza per la terza età avrebbe trovato una nicchia perfetta e che nei tre anni successivi sarebbe tornata a essere felice come durante l’infanzia, quando ancora il destino non le si era scompigliato.

Tratto da L’amante giapponese, di Isabel Allende

Oltre il fondo

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Abbiamo rabbia e vuoto da smaltire.
Polvere e desideri da mischiare.
Abbiamo cerotti da togliere, ferite da lasciar guarire, dolori da ascoltare.
Abbiamo sorrisi: da diluire, da scegliere, strade in cui inciampare.
Possiamo fare da soli, o camminare insieme. Possiamo tenerci le mani o starci accanto.

Possiamo
essere felici.

Oppure no – contare i doni mancati, gli abbracci assenti, gli sguardi interrotti, le colpe contate, dimenticarsi di respirare: possiamo continuare a farci mangiare da ciò che giace oltre il fondo. Indietro. Prima.

Ci sono viaggi da fare con bagagli leggeri, ripetere gli stessi passi per non tornare. Per scegliere la stella da seguire. Sognare un’altra storia possibile.

Disattenzione

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Disattenzione
di Wislawa Szymborska

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare
domande,
senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo
l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per
un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in
superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter
d’occhio.

Su un tavolo più giovane da una mano d’un
giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia
era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

E’ durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Banalità

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Te li sei lavati i denti?
Eh?
Stamattina, dico. Te li sei lavati i denti?
Jac no, non ricominciare.
Te li sei lavati o no, Tod. Guarda che se non rispondi è
Cristo, Jac…
Senti qui Mel, non se lo ricorda.
.. Non ricominciare ho detto!
Allora Tod, te li sei lavati i denti?
Non ci gioco ai tuoi giri di parole Tod. Lo sai.
Finiscila Jac. Qual è la domanda?
Te li sei lavato i denti, stamattina?
Si Tod, me li sono lavati.
Vedi Jac, non è difficile, lui risponde.
Cristo.
Rispondi Jac. Qual è il problema?
Mel, non ti ci mettetere.
Rispondi Jac.


..
Si Tod, me li sono lavati. I denti.


Grazie Jac. Grazie.

Al lupo, al lupo!

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La nonna c’aveva tutte queste storie chiuse nelle borse degli occhi.
Tu facevi un qualsiasi dispetto, un gioco, sbagliavi una parola, non so.
Lei ti coglieva, si avvicinava, e ti raccontava una storia.
A bassa voce. Piano. E poi,
se ne andava. Ti lasciava lì col tuo pensiero a mezz’aria, col senso di colpa e la netta sensazione di essere nel mentre di un errore, di una cosa sbagliata:
“e se succede anche a me?”.
Allora la smettevi, di fare qualsiasi dispetto, gioco o parola tu stessi facendo.
E la nonna si allontanava, piano.

Un pastorello conduceva ogni giorno le sue pecorelle a pascolare.
Si annoiava molto e così decise di fare uno scherzo a tutta la gente del villaggio.
– Aiuto.. al lupo al lupo. Cominciò allora agridare con quanto fiato aveva in gola
Tutti i contadini accorsero armati di forconi e randelli, ma quando arrivarono nel grande prato non videro neanche l’ombra del lupo. Il pastorello rideva a crepapelle:
– Era solo uno scherzo e voi ci siete cascati!
Qualche giorno dopo ripeté lo stesso e i contadini allarmati giunsero di corsa la prato.
Presto si accorsero che il pastorello si era giocato un’altra volta di loro.
Un giorno arrivò d’improvviso un intero branco di lupi; il pastorello cominciò a gridare disperatamente:
– Al lupo, al lupo!
Ma i contadini, credendo a un altro scherzo, non si mossero più. Indisturbati, i lupi, fecero strage di pecore e agnelli.

[Esopo, Lo scherzo del pastore]

Eva Luna racconta

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Ci sono storie d’ogni genere. Alcune nascono quando vengono raccontate, la loro sostanza è il linguaggio, e prima che qualcuno le metta in parole sono appena un’emozione, un capriccio della mente, un’immagine o una intangibile reminescenza. Altre si presentano complete, come mele, e si possono ripetere all’infinito senza rischiare di alternarne il senso. Ne esistono prese dalla realtà e lavorate dall’ispirazione, mentre altre nascono da un istante di ispirazione e diventano realtà nell’essere narrate. E vi sono storie segrete che rimangono nascoste fra le ombre della memoria, sono come organismi viventi, ne spuntano radici, tentacoli, si riempiono di escrescenze e di parassiti e col tempo si trasformano in sostanza d’incubi. A volte per esorcizzare i demoni di un ricordo è necessario narrarlo come storia.

Tratto da Eva Luna racconta, Isabelle Allende.

I

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22 settembre 2011


Chiamiamola anche viaggio questa GMG, perché come tutti i viaggi ha avuto anche un ritorno.
E tornare dalla GMG è stata la cosa più facile.
Perché la GMG è prendere uno zaino vuoto ma della nostra misura, è partire con le botte e le ferite del momento, i sorrisi e le parole del giorno prima.
La GMG è andare a ricaricarsi di stupore, di voglia di vivere, di incanto, di forza e di fiducia. Quella fiducia che ti cresce dentro solo dopo aver incontrato la certezza e la testimonianza di gente come te.
Madrid è stato anche questo: non accorgersi di raccogliere pezzi di vita per strada e metterseli addosso, usarli per scuotere via la polvere, per coprire le toppe e le scottature. E quando te ne accorgi, del caleidoscopio di emozioni che ti si stanno cucendo intorno, c’è solo una cosa che hai voglia di fare: tornare a casa.
Per raccontare chi hai incontrato, per abbracciare chi ti è mancato, per metterti in azione, per buttarti verso il nuovo anno scolastico, per realizzare quel progetto che ti faceva così paura, per attuare nuove abitudini, per far diventare nuove persone parte della tua quotidianità.
Ti accende lo stomaco di entusiasmo quella voglia di usare tutto quello che da questa GMG hai ricevuto.
Mi piace quando Cremonini canta che i ricordi li puoi tenere in testa, o nascondere in un portafogli.
Ma c’è chi se li dimentica nei sogni.
E poi, continua il suo cammino.

Ripostiglio

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Cioè.
Tu, passi la tua vita a riempirti. Ti fai tutte le tue belle esperienze, i tuoi calcoli. Raccogli quello che ti piace, butti via, impari, compri, provi, sperimenti. Archivi atteggiamenti, modi di fare, battute, frasi, comportamenti.. e sei fiero di tutto ciò. Sei fottutamente fiero di tutto quello che hai. Ti sei fatto un bagaglio e questo bagaglio ti piace un sacco. Ti piace davvero tanto.
Talmente tanto che ti tieni tutto stretto. Non ci credi, gli altri non capirebbero niente di tutto quello che hai dentro.
Un po’ perché è roba solo tua e su di te, un po’ perché pensi che siano cose complicate, mica tanto semplici. E un po’ perché, cacchio, sono talmente belle che non le vuoi dividere con qualcun altro.

Poi.

Un giorno.

L’implosione.
Arrivi ad avere una meravigliosa voglia di mostrarti.
Di usarle, tutte quelle cose che c’hai stipato dentro.
E allora via. Situazioni, incontri, scontri.. realtà.
Inizi a vivere mille mila cose e a portar fuori roba.

Ed è qui che cade il problema.

Se tutto va bene, se quello che porti fuori ha successo, se gli altri capiscono esattamente cosa vuoi dire o fare, ti senti maledettamente realizzato e più porti fuori più ti senti pieno zeppo di utilità.
Ma se anche solo una o più di una delle tue idee fallisce, sei fottuto.
Se non condividono ciò che hai, se non piacciono, se te le ritrovi sbagliate, se non sono giuste, se quando le hai in mano a te per primo sembrano merda, se stonano, se non sono come credevi, se puzzano, se non le avevi capite, se non centrano, se non escono, se non rientrano…

Se ti deludono, sei fottuto.
E’ finita.
C’hai un mondo stipato dentro e non sai che fartene.
C’hai la porta spalancata e non esce più niente. Soffochi.
Piano piano. Ti schiaccia.

C’hai un mondo incastrato dentro.
E che cazzo me ne faccio di ‘sto mondo?
Non lo sai.

Non lo sai.

Qualcuno

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Signore, quando ho fame,
mandami qualcuno da sfamare.
Quando ho sete,
mandami qualcuno da dissetare.
Quando ho freddo,
mandami qualcuno da scaldare.
Quando sono triste,
mandami qualcuno da consolare.
Quando sono povero,
mandami qualcuno più povero di me.
Quando non ho tempo,
mandami qualcuno da ascoltare.
Quando mi sento incompreso,
mandami qualcuno da abbracciare.
Quando sono scoraggiato,
mandami qualcuno da incoraggiare.
Quando sono umiliato,
mandami qualcuno da lodare.

Quando non mi sento amato,
mandami qualcuno da amare.

Madre Teresa di Calcutta

inoizuloS

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Se fossi tua amica ti direi di stare attento. Ma poi sarei ripetitiva.
Sarà che sei ripetitivo pure tu.
Se uno cade e si taglia, gli metto il cerotto, se uno cade e prende una botta, gli metto la pomata.
Se uno cade e si taglia, gli metto il cerotto.
Se uno cade e si taglia, gli metto il cerotto.
Se uno cade e si taglia, gli metto il cerotto.
Se uno cade e si taglia, gli metto il cerotto.
Se uno cade e si taglia gli metto il cerotto.
Non sono ripetitiva io che metto il cerotto.
E’ che si taglia sempre.

Capriole

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Ce la faranno i nostri eroi a farla franca o sarà Franca a farsi i nostri eroi?

Diario di I media. Frase scarabocchiata con una biro colorata. Rosa. Una volta profumava. Credo.
In I media i primi giorni di scuola erano dedicati allo scambio dei diari: tu scrivi qualcosa sul mio, io scrivo qualcosa sul tuo. Frase fatte, che sembrano stupende perchè un bambino di prima media dove vuoi che le abbia già sentite? Barzellette, firme, saluti, sigle, tvb, tv1kdb. Ecc ecc ecc. Perchè? Perchè lasciare bianche le pagine di giorni in cui la scuola non c’era, non ci piaceva proprio. Non si lasciano vuoti i giorni di vacanza. Sei fuori?

Francy, una mattina, prende il mio diario e sul 5 settembre scrive: ce la faranno i nostri eroi a farla franca o sarà Franca a farsi i nostri eroi?
Meraviglia. Pura, purissima meraviglia. Esaltazione totale. Cioè, l’hai vista? L’hai notata? Era una frase con sogg+verbo+compl e si è girata, cavolo! Hai visto come si è girata?
Il compl è diventato sogg, il verbo è rimasto tale e il sogg è il compl adesso.
Cioè.
Stupenda.
Sono meravigliata.
Meravigliata.
E ripetitiva perchè non trovo un aggettivo migliore di meravigliata.
Passa la mattina, il pullmino, il pranzo. I cartoni e il divano. Sono a casa, il grande tavolo da cucina e la mamma che chiede: “cosa hai da fare per domani?”. Tiro fuori il diario, mi ricordo della frase, sfoglio le pagine ed esclamo “guarda guarda!! Leggi questa frase! Leggila! Questa!”.
Ero orgogliosa, ecco. Volevo che leggesse quella frase meravigliosa e dicesse “uahoh” perchè io l’avevo vista fare la capriola, e girarsi al contrario, e anche lei poteva vedere la capriola. Si si, l’avrebbe vista e mi avrebbe detto “uahoh”.
“Mmm… non mi piace molto questa frase, Paola” e ci picchietta sopra l’indice. “Anzi, non mi piace proprio.”

Va detto che avevo 11 anni, e di doppi sensi non ero particolarmente esperta. Non che adesso sia cambiata la faccenda.
Ad ogni modo io mica mi ero accorta del senso della frase. Cioè, io l’avevo vista capovolgersi, ma mica avevo fatto a caso a cosa stesse dicendo.
“Non mi piace..”
“Come non ti piace?” Come piffero fa a non piacerti? Spiegamelo!



Oh.
Delusione.
Il significato. Sconcio. Oh.. eh, in effetti non è mica tanto bella come frase. Per una di 11 anni non è esattamente la perla del giorno da ripetere a chiunque incontri.
E la capriola? Cosa ce ne facciamo della capriola?

Avevo 11 anni. E già le parole mi conquistavano.

Senza soggetti

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– Sintetizzi in una parola.
– Mi scusi?
– Ha capito, mi sintetizzi il tutto in una parola.
– Una parola?
– Esatto
– Una sola?
– Si.
– Ma lei ha presente?
– Certo che ho presente
– No signorina, lei non ha presente.
– …
– Ok, mi scusi.
– …
– Però ho ragione: come cacchio si fa a descrivere tutti i rapporti interpersonali, tutto di tutti, in una parola?
– …
– Una parola.
– …
– Ha presente la complessità della faccenda?
– …
– Cioè, c’è l’amicizia, c’è l’amore, ci sono i genitori, i compagni di classe, le insegnanti, l’attore figo, i vecchietti, i passanti, ci sono le litigate, c’è che non ci si capisce mai una cicca di niente, c’è che si ingoiano un sacco di cose, c’è che si è sempre lontani perchè o stai aspettando o stai ricordando, c’è che una cacchio di volta che vada bene non c’è mai o se c’è finisce così, in un soffio, c’è che si deve sempre scegliere e sempre perdere. Perché un pezzo lo perdi sempre, a un certo punto dico.. e poi vogliamo parlare dei gruppi? Che finché sono amici ok, ma quando diventano aggregati casuali.. oh cielo. E poi ci è mai salita su un treno? Oh lì se ne vedono tante. E’ il caos, è tutto intrecciato, uno dentro l’altro e nemmeno lo sanno questi, lo capisce? Dondolano di qua e di là e non si accorgono di tutto quello che
– Una parola.
– Ma..
– Una.
– Ufff
– …
– …
– …
– …
– …
– …
– …
– Ce l’ho.
– Ottimo.
– E’ un verbo.
– Bene.
– Va bene anche un verbo?
– Un verbo è perfetto.
– Ok.
– …
– E’ un verbo all’infinito.
– Meraviglioso. All’infinito.
– E’ riflessivo però.
– Molto bene.
– Si dice riflessivo no? Quando.. finisce col si, dico. Tipo lavarsi. O salvarsi.
– Riflessivo, esatto.
– …
– …
– Glielo dico?
– Certo.
– Ok.
– …
– …
– …
– Mischiarsi.

Veglia

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Succede quando sei pieno. Quando ti sei riempito troppo, quando non c’è più spazio e non c’è altra via d’uscita: non ci sono parole, non ci sono gesti.
Succede, quando ti ingozzi. Piangere, dico.
Succede, soprattutto con le emozioni: quelle occupano un sacco di spazio, e nelle parole non ci stanno mai. Sono troppo immense per essere rinchiuse lì, senza ossigeno.

[..]