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Oltre il fondo

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Abbiamo rabbia e vuoto da smaltire.
Polvere e desideri da mischiare.
Abbiamo cerotti da togliere, ferite da lasciar guarire, dolori da ascoltare.
Abbiamo sorrisi: da diluire, da scegliere, strade in cui inciampare.
Possiamo fare da soli, o camminare insieme. Possiamo tenerci le mani o starci accanto.

Possiamo
essere felici.

Oppure no – contare i doni mancati, gli abbracci assenti, gli sguardi interrotti, le colpe contate, dimenticarsi di respirare: possiamo continuare a farci mangiare da ciò che giace oltre il fondo. Indietro. Prima.

Ci sono viaggi da fare con bagagli leggeri, ripetere gli stessi passi per non tornare. Per scegliere la stella da seguire. Sognare un’altra storia possibile.

Proprio come questo

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I’ve been reading books of old, the legends and the myths:
Achilles and his gold, Hercules and his gifts,
Spiderman’s control and Batman with his fists.
And clearly I don’t see myself upon that list.

She said “Where’d you wanna go? How much you wanna risk?
I’m not looking for somebody with some superhuman gifts:
some superhero, some fairytale bliss.
Just something I can turn to,
somebody I can kiss”.

The Chainsmokers & Coldplay, Something just like this

Psiche

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amore-psiche

Eros e Psiche celebrarono le nozze, e dalla loro unione nacque una figlia che chiamarono Voluptas, ciò che è come desidera il cuore: una speranza, un auspicio.
Perchè il piacere non è l’istante: è ciò che proietta in avanti il tempo, diventando desiderio.

Tratto da L’amore prima di noi, Paola Mastrocola.
Immagine: Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, dettaglio.

Braci

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Quando si accende l’amore è una pazzia temporanea. L’amore scoppia come un terremoto e in seguito si placa e quando si è placato bisogna prendere una decisione, bisogna riuscire a capire se le nostre radici sono così inestricabilmente intrecciate che è inconcepibile il solo pensiero di separarle. Perché questo è… l’amore è questo.
L’amore non è turbamento, non è eccitazione, non è il desiderio di accoppiarsi ogni istante della giornata, non è restare svegli alla notte immaginando che lui sia lì a baciare ogni parte del tuo corpo. Non arrossire, ti sto dicendo delle verità. Questo è semplicemente essere innamorati e chiunque può facilmente convincersi di esserlo.
L’amore è invece… è quello che resta nel fuoco quando l’innamoramento si è consumato. Non sembra una cosa molto eccitante, vero? Ma lo è. Tu credi di poter anche solo immaginare che arriverai a provare questo?

Tratto da Il mandolino del capitano Corelli, regia di John Madden.

Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico

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”In effetti è proprio così. Il primo motivo della mia tristezza è che non ho un nome. Lei si chiama Mix, il giovane umano Max, ma io non ho un nome, sono solo un topo, e se dici topo ad alta voce, milioni di topi penseranno che parli con loro e non con me.
Io voglio avere un nome!”

Tratto da Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, di Luis Sepùlveda.

… la domanda qual è?

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Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita. Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori. Posso, però, ascoltarli e condividerli con te. Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro; però, quando serve sarò vicino a te. Non posso cancellare la tua sofferenza; posso, però, piangere con te. Non sono una gran cosa, però sono tutto quello che posso essere.
Jorge Luis Borges

Ricominciare

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Li hanno fatti a tempo determinato i momenti.
Appiccicandoci sempre un dopo, però.
Secondi, minuti e ore. Eterno ritorno di giorni e notti che si alternano.
Il lunedì mattina, il primo del mese, il primo dell’anno. Ogni anno. Mai gli stessi.

Sembriamo fatti apposta per poter ricominciare.
Creare,
andando a capo.

Il primo di novembre

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Era una signora dai capelli scoloriti. Camminava concentrata, appesa ad un bastone, sul ciglio della strada. Un po’ troppo in qua per volanti distratti.
Con la mano destra trascinava una di quelle borse con le ruote appiccicate, verde come la sua giaccavento aperta: portava un grande vaso di fiori, dei crisantemi gialli. Una macchia stonata in mezzo a tutto questo autunno.

Non so per chi fossero quegli occhi che si portava dietro, forse per il marito ho pensato. Sicuramente per qualcuno che ama.
Non la fai tanta fatica altrimenti.
Che poi in realtà quegli occhi non glieli ho proprio visti, l’ho sfiorata passando per la stessa strada, nella stessa direzione. C’aveva tutta quella concentrazione addosso, come quando stai salendo in montagna e sai che non ce la fai, non hai le forze.. ma vuoi arrivare. Devi arrivarci.
C’aveva quella forza, con quei fiori, l’amore e tutto il resto..

Nessuno si salva da solo

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– Tutta la sera ho pensato quei due possono fare qualcosa per me…
– E perché ha pensato una cosa così assurda?
– Non lo so. Una sensazione, ma precisa come un’emozione profondissima…
Il vecchio cerca gli occhi di Delia.
– Lei pensa di poter pregare per me?
– Si, certo.
Ha preso una mano a entrambi, le stringe. Le scuote.
– Nessuno si salva da solo.

Li guardano allontanarsi verso una Panda parcheggiata proprio lì.. adesso il vecchio sembra davvero incerto sulle gambe. È la moglie che lo guida, chiude lo sportello al marito e poi fa il giro.

– Perché non gli hai detto che non siamo credenti?
– Non m’andava di deluderlo… uno combinato così… e poi in qualcosa credo.
Delia gli chiede in cosa crede, Gaetano guarda in terra, le mani in tasca ai jeans, boh, dice…
– Nella catena umana… se stiamo qui insieme ci sarà un senso… tu e io piuttosto che altri due…

Tratto da Nessuno si salva da solo, di Margaret Mazzantini.

[È pieno di rabbia quel libro qua. Ti inchioda al futuro con una domanda bruco, di quelle che se te le tieni in testa ti mangiano piano piano.]

Dance dance dance

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Finalmente l’orologio segnò le sette, la luce del mattino filtrò dalla finestra proiettando sul pavimento un rettangolo leggermente deformato. Yumiyoshi dormiva ancora profondamente. Le spostai piano i capelli e le diedi un bacio sull’orecchio.
Prima di svegliarla, pensai tre o quattro minuti a cosa dirle. C’erano tante cose che avrei voluto comunicarle, e tanti modi di esprimerle. Ci sarei riuscito? Il mio messaggio sarebbe riuscito a far vibrare le corde giuste dell’aria e raggiungerla? Provai diverse frasi tra me e me. Poi tra quelle scelsi la più semplice.
– Yumiyoshi, – sussurrai. – È mattina.

Tratto da Dance dance dance, di Murakami Haruki.

Oggi indosso la giacca dell’anno scorso

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Siamo
esperti
traslocatori.
Passiamo le giornate a mettere
in ordine
pezzi di noi negli altri:
li riponiamo lì, con estrema cura ed efficacia,
con incondizionata fatica.
Senza nemmeno accorgercene.

Poi, una mattina, succede
che ci svegliamo e non ci troviamo.
Nemmeno a cacciarsi due dita
nel cuore per vomitare:
non c’è verso di
riconoscersi,
da quella mattina.

L’attesa

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Era una macchina tarchiata, di quel blu cielo d’inverno che esiste solo nei film di fantascienza. Aveva un retrogusto di coriandolo al suo interno, e dei pezzi di cuore incastrati tra i sedili. In realtà i pezzi di cuore non li vedevi, ma se conoscevi la sua storia riuscivi percepirne i respiri tra un giro di motore e l’altro.
Alle cinque e dodici minuti la macchina tarchiata blu cielo d’inverno si piazza tra un campo e l’altro, stagliandosi contro la notte insieme ai rami degli alberi. Scendono in tre, dalla macchina tarchiata blu cielo d’inverno: un ragazzo, una ragazza. E una coperta. Arancione. La coperta, color caco. Per l’esattezza.
Nel dettaglio la coperta era aggrappata alla ragazza coll’astuto compito di scaldare quel corpo che non aveva nessun tipo di familiarità col proprio calore. Succede a volte, a chi ha l’abitudine di

                                                                                                                                                                                                   non trovare bene le parole. Era questo il problema fondamentale del momento. Non sapeva nemmeno cosa cacchio ci facesse lì in mezzo ad una campagna che si sentiva nuda senza la solita nebbia invernale. Non c’erano neppure le nuvole.
– Cofano o tetto?
– Tetto, sul cofano si scivola.
– Ce la fai a salire?
– Ovvio, ho un metodo. Da piccola passavo i pomeriggi sul tetto della macchina.
– ..
-..
-..
– Mi piaceva stare in alto.
– ..
– Ecco, magari dovevo portare una coperta meno ingombrate. Ecco, ce l’ho fatta.
– ..
– ..
– ..
– Non sali?
– Si si.
– ..
– Arrivo.

Si dice siano rimasti seduti sul tetto della macchina tarchiata per tutta la notte. O per lo meno, per quello che della notte ne era rimasto.
Si vedevano lì, tutti e tre sul tetto. Sembrava tutto un po’ mischiato: loro, la macchina, la notte.
Si dice siano rimasti lì come in attesa di qualcosa. Loro dicevano che ci erano andati per aspettare l’alba. Io non ci credo tanto, perché non te ne stai lì tutta la notte quando sai perfettamente che l’alba succede solo ad una certa ora. Secondo me erano lì ad aspettare e basta.
Scusa, prova a pensarci: era il primo mattino dell’anno. Cos’altro vuoi fare il primo mattino dell’anno, se non aspettare?

I

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22 settembre 2011


Chiamiamola anche viaggio questa GMG, perché come tutti i viaggi ha avuto anche un ritorno.
E tornare dalla GMG è stata la cosa più facile.
Perché la GMG è prendere uno zaino vuoto ma della nostra misura, è partire con le botte e le ferite del momento, i sorrisi e le parole del giorno prima.
La GMG è andare a ricaricarsi di stupore, di voglia di vivere, di incanto, di forza e di fiducia. Quella fiducia che ti cresce dentro solo dopo aver incontrato la certezza e la testimonianza di gente come te.
Madrid è stato anche questo: non accorgersi di raccogliere pezzi di vita per strada e metterseli addosso, usarli per scuotere via la polvere, per coprire le toppe e le scottature. E quando te ne accorgi, del caleidoscopio di emozioni che ti si stanno cucendo intorno, c’è solo una cosa che hai voglia di fare: tornare a casa.
Per raccontare chi hai incontrato, per abbracciare chi ti è mancato, per metterti in azione, per buttarti verso il nuovo anno scolastico, per realizzare quel progetto che ti faceva così paura, per attuare nuove abitudini, per far diventare nuove persone parte della tua quotidianità.
Ti accende lo stomaco di entusiasmo quella voglia di usare tutto quello che da questa GMG hai ricevuto.
Mi piace quando Cremonini canta che i ricordi li puoi tenere in testa, o nascondere in un portafogli.
Ma c’è chi se li dimentica nei sogni.
E poi, continua il suo cammino.

D

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22 settembre 2011

Là faceva caldo. Quasi non si respirava. Giramenti di testa, pressione che scende, acqua da raccogliere imbucandosi sotto i lavandini, fili d’erba secca che ti si attaccano alla pelle.
Una piccolissima zona d’ombra, e un’aranciata rubata al tempo. Ghiacciata.
Nel pomeriggio a Quatro Vientos, il viento non s’è sentito. Eppure le emozioni più forti si sono tutte radicate lì.  Perché chiunque vi racconterà come è andata questa GMG, vedrete che si soffermerà principalmente nei dettagli di questa precisa giornata.
In un vecchio libro, una volta, avevo letto che i dettagli sono cruciali per far funzionare una storia. E allora raccontiamoli, questi dettagli.
Un dettaglio è l’acqua, che non c’era mai se non nei tubi rotti sotto i lavandini. Un dettaglio sono i cappelli azzurri degli italiani, che calzavano a pennello tutte le teste e i pensieri del mondo intero. Dettagli sono le bellissime borse col cibo. E non ditemi che non erano bellissime. Dettaglio rinfrescante sono i bomberos e la loro favolosa grandezza nel divertirsi mentre ci bagnavano. Un altro dettaglio sono le firme sulla bandiera che ora è appesa in camera. Un dettaglio è scappare dalle paure e chiudersi sotto un tendone, trovarsi nel bel mezzo di un’adorazione, confessarsi e pregare. Dettaglio è incontrarLo. Nei visi degli altri, nelle parole che finiscono con la s, parlando cinque lingue diverse contemporaneamente, compresa la lingua dei segni, nel coraggio di buttarsi, nel resistere al caldo, nell’ombra improvvisa, nelle canzoni sputate fuori dalle casse, nelle parole del Papa, nel forte vento che alla fine è arrivato: nella pioggia, nei tuoni, nei teli blu, negli amici, nello stringersi, nel sorridere alla beffa, nel ridere a crepapelle quando la tempesta si zittisce e ti ritrovi bagnata fradicia e infreddolita dalla testa ai piedi. Ma da lì non te ne vuoi andare.
Dettaglio è quel Papa che torna sul tappeto bianco e ci ringrazia e ci si fa vicino.
Ci ha abbracciati tutti, e questo è uno dei dettagli migliori.
Ma il più bello, il più infinito dei dettaglio è stato quel silenzio. Non c’era fine a quel silenzio durato un istante e durato un’eternità. È stato di una meravigliosa profondità e nessuno ci avrebbe mai creduto che due milioni e mezzo di persone, ciascuna persona presente lì in quel momento si sarebbe fermata per guardarsi dentro, per guardarLo e per guardarsi intorno.
Per poi, a un certo punto, accorgersi che quell’istante era finito.
Ed è lì che abbiamo trovato quel linguaggio universale capace di parlare a tutti.
Quel linguaggio che si chiama Amore e passa tra le voci del cuore.
E sapete perché l’abbiamo trovato?
Esattamente perché l’istante a un certo punto è finito. Provate a pensarci, se non fosse finito, quell’istante…

A

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22 settembre 2011

 Uno parte per la GMG per mille motivi diversi. Per seguire (o inseguire) gli amici, perché ci va quello lì (esattamente quello lì), perché devo trascinare per forza quegli sfiz del mio paese che non hanno ancora capito che si perdono una cosa eccezionale; per accompagnare il mio gruppo, perché mi tocca, per cercare, per trovare, perché è il viaggio cool di quest’anno, perché la GMG è la GMG, perché non me ne voglio perdere una, perché così vedo Madrid, perché è emozione pura, perché solo l’idea mette adrenalina in circolo, … e perché bo, non lo so.
Perché si, c’è anche chi non lo sa perché ci va. Ve lo giuro. E ci va comunque.
Con la testa vuota e lo zaino pieno. E lo sapete come tornano questi?
Tornano che non sanno più dove mettere i sorrisi, i sogni, le idee, le facce, i discorsi.
C’hanno le vesciche ai piedi questi, e almeno una bandiera di un’altra nazione e quattro braccialetti nuovi legati ai polsi. Sono tutti quelli con tutte le firme sulla maglietta, quelli che una volta a casa hanno un surplus di amici nuovi in facebook o sul cellulare, o su un pezzo di carta stropicciata. Sono quelli che non si sono fermati un attimo, questi: non si sono mai tirati indietro, nemmeno sotto il caldo di Quatro Vientos, nemmeno se la Chiesa aveva solo un ventilatore, nemmeno con un mezzo tramezzino di pane stantito e salame piccante color sangue in mano.
Se la sono ingoiata tutta questa GMG, questi. Tutta.
Che io non lo so come funziona, ma tra i mille perché che ciascuno di noi aveva dentro, tra i mille perché che ci hanno spinti a prendere un aereo e atterrare a Madrid, ce n’era uno in particolare.
Che si chiama Gesù.
E ce l’avevamo tutti questo perché, in fondo alle tasche. In fondo al cuore.
Che sia Lui ad averci trascinato fin là? ….

Qualcuno

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Signore, quando ho fame,
mandami qualcuno da sfamare.
Quando ho sete,
mandami qualcuno da dissetare.
Quando ho freddo,
mandami qualcuno da scaldare.
Quando sono triste,
mandami qualcuno da consolare.
Quando sono povero,
mandami qualcuno più povero di me.
Quando non ho tempo,
mandami qualcuno da ascoltare.
Quando mi sento incompreso,
mandami qualcuno da abbracciare.
Quando sono scoraggiato,
mandami qualcuno da incoraggiare.
Quando sono umiliato,
mandami qualcuno da lodare.

Quando non mi sento amato,
mandami qualcuno da amare.

Madre Teresa di Calcutta

Schizzo

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– Gli hai già dato un nome?
– No.
– E’ tutto nero.
– Non lo voglio un nome tutto nero.
– Com’è piccolo.
– Hai visto come corre?
– Ma l’hai già preso in braccio?
– In realtà ho un pò paura. Graffia.
– Ma va là.
– Prova!
– Si si, dopo. Come lo chiamiamo?
– Gatto.
– Macchè gatto!
– ..
– Non ci vuole un nome qualsiasi.
– …
– Un nome strano, pensa a un nome strano.
– …
– Che ne so
– …
– Tipo
– ahahaha!!!
– Tipo
– E’ velocissimo!
– Ci sono!
– Guardalo!
– Lo chiamiamo.. guarda come corr
– Schizzo!
– Eh?
– Guardalo! E’ tutto nero e schizza di qua e di là. Schizzo.
– …
– Schizzoooo! Tch tch tch..
– …
– E’ proprio piccolino.
– …
– Ti piace?